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La quarta sedia
Ci sono stata in quella casa in cui le geografie cambiavano direzione e il giorno non sapeva da che parte entrare.
La tavola apparecchiata per quattro, invano. Io che sedevo ogni volta su quella sedia rimasta vuota fino al mio ritorno
mio fratello chiedeva che nome avessi io recitavo il suo nome a memoria.
Mia madre diceva – Figlia mia, mangia ogni cosa che non ti faccia andar via, io ci sono morta tra i binari della vecchia ferrovia dove le tratte sono ferme ai boschi e le cortecce si fanno tronchi.
Mi avrebbe vista crescere dalla finestra che dava sul lago pensando che le mareggiate fossero solo cose di mare e sale.
Io mangiavo, mangiavo così mi avrebbe trovata già grande e avrei potuto asciugarle gli occhi che non hanno visto il mio canto soprano ma l’ultima danza del cigno ostinato a restare umano.
Le onde d’acqua lasciano segni che fanno male tirano a fondo le attese amare.
Mia madre è di là che apparecchia… la sedia ha una gamba rotta.
Liquidi sottopelle
L’occhio rastrella a vuoto non troppo lontano dal mio sguardo.
Il piatto doccia è così pulito sembra non esserci mai stata vita. Chissà dov’è finita l’acqua passata tra le dita
pensare che ho fatto la doccia ogni mattina
anche l’asciugamano ha le pieghe che non ho mai preso stirarle ne avrebbe alterato il senso spostato il nesso sopra il mio piano no non intendo pianto ma proprio piano dove le terre smottano da lontano
qui invece non si muove foglia il vento esula dal mio divano.
Magari una doccia calda tornerà a guardarmi in faccia
è che ci riprovo ancora almeno una volta stavolta, stanotte
i liquidi, si sa passano sotto le porte chiuse.
Incomprensioni
Le sillabe rovinavano in picchiata dalla finestra
il paracadute era appeso in cucina tra le piastrelle e l’orologio a pendolo
non avevo più gambe per andare a riprenderle prima che si fracassassero sul tuo niente, intero di silenzi mentre chiamavi giro per tornare a dormire
scendere le scale – tra i pioli di sempre – era già stato fatto compiuto anche questo atto.
Aria compressa.
Tiro la coperta dal mio lato lasciando scoperta la parte che non ha mai parlato
giusto per sapere se ti avrei salvato dal mutismo che ti ha condannato.
Reo assolto per insufficienza di parole.
[ Opera II classificata al Premio Letterario Nazionale Il Giardino di Babuk - Proust en Italie, VI edizione 2020, sezione Poesia ]
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